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Una conversazione con l’artista Paolo Treni

di Giulio Raffaele
Paolo Treni

Simulacri analogici e simulazioni digitali

Paolo Treni

Paolo Treni nasce nel 1981 sul lago di Garda. Vive e lavora tra Brescia, Milano e Berlino. A Milano consegue la laurea specialistica in Comunicazione presso l’Università Cattolica e si diploma alla scuola del Teatro Arsenale. L’incontro con il laboratorio di scenografia di Jacques Lecoq a Parigi orienta la sua ricerca artistica. Grazie all’esperienza teatrale della maschera neutra riscopre attraverso il corpo il ruolo della luce nella percezione del mondo esterno; questo lo stimola alla creazione di opere basate sull’interazione dal vivo con lo spettatore con l’obiettivo di rendere l’esperienza di visione coinvolgente. Questa conversazione con Paolo Treni è nata dalla comune passione per il lavoro di Refik Anadol. Negli ultimi mesi abbiamo fatto lunghe chiacchierate sul potenziale dell’arte digitale, prendendo come spunto le zone d’incontro e di divergenza tra le simulazioni digitali di Refik Anadol e i simulacri analogici di Paolo.

Paolo Treni

Paolo Treni
Refik Anadol, Frame tratto dalla video installazione Machine Hallucinations: ISS Dreams, 2020, Los Angeles, USA (Fonte: https://refikanadol.com/works/1775-2/).
Paolo Treni
Gentile concessione di Paolo Treni, Nubes Turbinis, 2017 (Laser, smalti e vernici su plexiglas) 
EXTRACT Sunlight Performance 01 NUBES TURBINIS

G.R. Paolo, se ti dico le parole “simulazione” e “simulacro”, cosa ti viene in mente? Dal tuo punto di vista, in ambito artistico, quali sono le caratteristiche distintive di questi due artefatti umani?

P. T. Mi viene in mente una scena del film Matrix, film che ha dato una spinta decisiva al mio percorso artistico ed è stato di grande ispirazione nella successiva strutturazione della mia poetica. In particolare, la scena in cui il protagonista Neo nasconde un software pirata all’interno di una copia dell’edizione americana del libro di Baudrillard “Simulacres et Simulations”. Aver conosciuto Refik Anadol alla Biennale di Firenze del 2019 e aver visto dal vivo la sua opera “Melting Memories”, mi ha portato a riconsiderare i concetti di simulazione e simulacro alla luce dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei processi creativi.

Refik Anadol

Un fenomeno inedito che comporta nuove riflessioni su come l’artista si rapporta alla tecnologia attuale e allo spettatore. I due termini, a mio avviso, inquadrano approcci opposti. Da un lato, con il termine simulazione, vedo un’evoluzione del discorso di Baudrillard relativo ai metodi di rappresentazione che simulano la realtà. Con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale (IA), le simulazioni si basano su processi di tipo digitale che hanno spinto oltre la convergenza e verso una sorta di indistinguibilità dei media di comunicazione di massa (televisione, cyberspazio e realtà virtuale). Dall’altro lato il termine simulacro, già nell’etimologia, evoca artefatti premoderni, creati a partire da processi di immaginazione analogici e intuitivi, che sottendono un rapporto gerarchico tra artista e tecnologia. Tale rapporto è inteso a considerare la tecnologia come strumento: un utensile avanzato al servizio dei processi “analogici” della creatività  umana.

Paolo Treni

Refik Anadol
Frame tratto dal film The Matrix, 1999, di Lana e Lilly Wachowski.

G.R. Mi piace molto questa analogia con l’estetica, la poetica e l’etica dell’Universo Mondo di Matrix. La realtà in cui viviamo può esistere contemporaneamente come simulacro e simulazione, in base agli strumenti che usiamo per esplorarla e comprenderla. La tecnologia può essere soggetto od oggetto, o magari entrambi contemporaneamente, dell’esplorazione della realtà, mutando radicalmente l’esperienza umana che ne deriva. E la stessa dinamica si manifesta nella realizzazione di opere d’arte basate su un utilizzo intensivo di strumenti tecnologici. Mi ha sempre affascinato molto analizzare e comprendere le pratiche degli artisti che combinano la propria creatività analogica con la tecnologia e con una paziente artigianalità. Quando contemplo un’opera ottenuta attraverso la mescolanza di tali capacità, trovo profondamente stimolante unire l’intuizione estetica ed empatica alla consapevolezza razionale della tecnica fondante.

Per questo, dimmi Paolo, seguendo il Bianconiglio di Matrix, cosa hai trovato nel libro “Simulacra and Simulations?” In altre parole, dove è nata e come si nutre l’ispirazione per la realizzazione delle tue opere-simulacro?

Paolo Treni

Refik Anadol
Refik Anadol, Pladis: Data Universe, Video installazione, 2018-2019, Istanbul, Turchia (Fonte: https://refikanadol.com/works/pladis-data-universe/).
Paolo Treni
Gentile concessione di Paolo Treni, Cosmic Green Drop, 2020 (Laser, smalti e vernici su plexiglas).

P.T. Nell’era dell’IA, le mie opere-simulacro nascono dall’esigenza di riaffermare le origini intuitive dei processi creativi umani. Mi affascina profondamente che oggi, combinando tecnologia ed artigianalità, si possano realizzare oggetti in plexiglas in grado di rendere visibile, con un semplice movimento ritmico in presenza della luce del sole, un concetto astratto come quello di simulacro, che gli atomisti greci ed Epicuro erano stati capaci di immaginare grazie alla sola intuizione del pensiero.

Paolo Treni

I Simulacri esprimono le potenzialità performative delle mie opere, i cui riflessi danzano e si trasformano a tempo di musica raccontando per immagini nuove storie. Venendo dal Teatro di Lecoq, la mia arte si fonda su un coinvolgimento attivo dello spettatore e dei processi di immaginazione “analogici” che suscitano emozioni profonde. L’ispirazione nasce proprio dall’aver sperimentato con la maschera neutra che la facoltà di interpretare un’immagine astratta è alla base dei nostri processi creativi e che i colori hanno il potere di rievocare – facendo leva sull’empatia – non solo gli stati emotivi del presente, ma anche quelli sedimentati nei ricordi. Delegare all’IA funzioni essenziali della creatività, come la rielaborazione e ricomposizione dei repertori disponibili nella memoria, mina la nostra capacità di immaginare risvegliando quei processi sinestetici che attivano molteplici aree sensoriali nella nostra mente. Non è forse questo che ci rende umani?

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