Eccovi la parte conclusiva dell’interessante scambio tra Giulio Raffaele e Paolo su simulacri analogici e digitali
Paolo Treni
G.R. Bella domanda. Per la mia formazione e per deformazione professionale credo che la capacità stessa di produrre e utilizzare la tecnologia sia uno dei tratti distintivi della nostra umanità. Tale capacità si combina indissolubilmente con il pensiero e la creatività umana, dando luogo ad attività che performano la realtà. Riguardo al timore che le capacità digitali algoritmiche dell’IA sostituiscano le capacità immaginative analogiche umane, credo che sia fondamentale formare le attuali e nuove generazioni della comunità dell’arte a bilanciare questa apparente dicotomia. Bisogna che le nuove generazioni di artiste e artisti conoscano, comprendano e coltivino l’artigianalità e il gesto creativo analogico sviluppando, al contempo, competenze tecnologiche che consentano loro di espandere il dialogo artistico usando i paradigmi digitali che pervadono la nostra società e le nostre psicologie. Dall’altro lato bisogna che chi lavora con e fruisce dell’arte coltivi la capacità di interpretare, trasmettere e apprezzare il valore di oggetti d’arte che si posizionano sull’ampio spettro performativo che unisce l’analogico al digitale. Detto ciò, nonostante le sofisticazioni dell’arte digitale basata su IA, trovo significativo che le capacità empatiche, immaginative e creative che caratterizzano la nostra umanità ci fanno ammirare con il naso all’aria opere che esistono solo sotto forma di 0 e 1, registrati in piastre di silicio. E quindi, Paolo, mi viene da chiederti cosa ti affascina di più delle opere di Refik Anadol e, in generale, dell’arte digitale basata su algoritmi di IA?
P.T. Ti dirò cosa mi ha colpito di Refik Anadol a partire dalla mia esperienza diretta di “Melting Memories”. Innanzitutto mi affascina il carattere immersivo ed evocativo delle sue installazioni. Sia i lavori costruiti sulle proiezioni, sia i ledwalls giocano su una scala che amplifica e valorizza al meglio la dimensione del colore, sfruttando appieno le potenzialità di tutte le tecnologie all’avanguardia. Caratteristica che ho trovato molto interessante in opere come “Melting Memories” è che, grazie a sofisticati algoritmi formulati dall’artista, traduce visivamente il modo in cui il cervello memorizza i ricordi. Vista dal vivo l’installazione ha il potere di catturare immediatamente l’osservatore e riesce a trasportarlo in una dimensione contemplativa che stupisce, incanta e confonde.
Artista
Dal punto di vista tecnico stai guardando un video in loop su un mega ledwall di 5×6 metri, ma l’artista è talmente bravo da riuscire a darti l’illusione di ammirare un flusso di materia multidimensionale in movimento che sembra uscire dalla cornice. Più in generale l’arte digitale permette di utilizzare uno spettro cromatico molto più ampio di quello analogico e di renderci in grado di giocare con infinite sfumature. Anadol è un vero maestro nel muoversi tra scienza e tecnologia e nel dare un’impronta estetica affascinante e seducente a quelle che, in origine, sono serie di dati. Trovo sorprendente la sua capacità di trasformare flussi di particelle e di frammenti colorati in composizioni mozzafiato.
Paolo Treni

A destra: Gentile concessione di Paolo Treni, Deep Blue, 2016 (Laser, smalti e vernici su plexiglas), Portofino, Collezione permanente del Museo del Parco.
G.R. Hai colto un aspetto che mi sta molto a cuore nella fruizione dell’arte in generale. Quando contemplo un’opera, figurativa o astratta, analogica o digitale, il mio rapporto empatico con essa è tanto più forte quanto più il flusso degli elementi che la compongono riesce a proiettarmi e immergermi una combinazione di altre dimensioni percettive. Credo che chiunque fruisca d’arte si ritrovi in questa condizione di estasi e sospensione almeno una volta nella vita. Penso sia anche per questo motivo che la mia esperienza estetica risuona particolarmente con le opere tue e di Refik Anadol. Ho scoperto i vostri lavori più o meno nello stesso periodo, durante il quale stavo iniziando anche ad approfondire la tematica dell’arte digitale e, in generale, dell’uso della tecnologia nella realizzazione delle opere.
Arte
Anadol costruisce le sue rappresentazioni digitali partendo da frammenti geometrici che si combinano in sequenze e flussi armonici di movimento e gradazioni di colori, dando luogo a macro-geometrie astratte che in una illusoria emersione dal loro supporto fisico, a volte, riescono a evocare forme naturali. L’onda di un placido oceano è l’immagine che si forma più spesso nella mia mente quando osservo alcune delle data-sculpture/paintings di Anadol.
Paolo Treni
Dall’altro lato tu realizzi le tue opere partendo da stratificazioni di macchie di colore che prendono vita attraverso la materia rigida e neutra del plexiglas. I flussi di colore che utilizzi si organizzano in forme astratte che influenzano poi la forma stessa che prenderà l’opera, racchiudendo spettri di colore inattesi e transizioni più o meno fluide da uno strato all’altro. Laddove nelle opere di Anadol il movimento di forme e colori è determinato dagli algoritmi di IA, nelle tue opere il movimento è dato dall’interazione con la luce ambientale, che include anche lo spettro delle frequenze luminose riflesse dal corpo dell’osservatore e dal loro variare nel tempo e nello spazio.
Paolo Treni


Entrambi rendete l’interazione con la realtà un elemento fondante delle vostre opere. Da un lato Anadol facendo uso di banche dati reali e, dall’altro, tu attraverso la superficie semi-riflettente del plexiglas. A questo proposito direi che uno degli aspetti che più mi affascina delle vostre pratiche artistiche è proprio il loro potenziale di continuare a interagire attivamente con le generazioni future e con i contesti in cui tali generazioni vivranno.
Qui, però, facendo un balzo concettuale apparentemente molto lungo, mi sorge un dubbio. Da decenni persiste un filone della narrazione di prosa, filmica e dei videogame che è incentrato sul tema post-apocalittico. In particolare è stato costruito un vasto immaginario sulla rappresentazione di mondi futuri in cui la società ritorna a funzionare secondo paradigmi pre-industriali, da cui sono escluse l’energia elettrica e, di conseguenza, le tecnologie digitali. Ora, pur contando sulla speranza che l’umanità riesca a progredire in una direzione che esclude un’apocalisse socio-economico-tecnologica, fermiamoci a fare un esperimento di immaginazione e chiediamoci: in un futuro remoto senza energia elettrica e tecnologie digitali appropriate, cosa resterebbe delle opere d’arte digitali realizzate in periodi storici precedenti?
P.T. Questa riflessione tocca un tema che trovo estremamente attuale e di fondamentale importanza. Per ciò che riguarda l’arte digitale (per non parlare degli NFT) è ormai chiaro che sia la trasmissione dell’arte contemporanea alle generazioni future sia la sua fruizione, restano indissolubilmente legate alla presenza di elettricità e di connessione. Non è da meno la questione della compatibilità dei supporti attuali con i sistemi informatici futuri.
Paolo Treni
I sequel di Matrix ci hanno mostrato come il mondo virtuale e quello fisico siano intercomunicanti e il fatto che l’Agente Smith si ritrovi in un corpo umano sia essenziale per il proseguimento della trama. Concordo su quanto sia importante preservare nei nativi digitali i meccanismi percettivi analogici legati alla creatività poichè molti della loro generazione non hanno mai potuto sperimentare ciò che ci ha portato al mondo iperconnesso in cui sono nati. Credo che l’arte contemporanea assuma un ruolo essenziale in tutto ciò. Del resto la domanda sorge ancora spontanea: in caso di blackout, cosa resta dell’arte, dove finisce l’opera digitale? Il dibattito è aperto…
Artista
