Theo Imani
Il legame arte-pubblicità non è nuovo.
Pensiamo ad Andy Warhol che inizia la sua brillante carriera come illustratore per riviste di moda e per agenzie pubblicitarie nella Grande Mela (emblematico è il caso delle scarpe Miller) o ai manifesti di Oliviero Toscani per il marchio Benetton.
Tuttavia il progetto recentemente portato avanti da Gucci in collaborazione con il brand North Face e con l’agenzia pubblicitaria Vibe Called Tech offre una nuova e interessante versione di questo rapporto arte-marketing. Infatti si pone come obiettivo quello di celebrare quattro talenti che hanno il merito di mappare e analizzare la rappresentazione dell’Africa nell’arte.
Nella campagna pubblicitaria ciascuno dei quattro propone una propria immagine, successivamente reinterpretata da Jazz Grant, ventottenne britannico, ma soprattutto collage artist.
Tra loro c’è Theophilus Marboah, noto anche come Theo Imani, uno studente di medicina presso l’Università di Pavia. Nato e cresciuto a Verona in una famiglia di origine ghanese è appassionato di arte africana e della diaspora tanto da poter essere considerato un visual researcher in questo ambito.
Theo Imani

Marboah però non è soltanto interessato ad indagare la produzione artistica altrui, è anche un artista in prima persona. Diffonde le proprie opere attraverso il suo profilo Instagram: si tratta di giustapposizioni di altre creazioni, andando alla ricerca di echi e accordi tra le immagini africane e quelle europee.
I dittici della serie “Echoes and Agreements” sono centinaia, forse migliaia.
Theophilus Imani

Nati inizialmente come una semplice sperimentazione su un social media, si possono ormai considerare una vera e propria serie digitale di opere. Estrapolate dal loro contesto originario e ricomposte con altre, formalmente vicine, le immagini, i dipinti, le fotografie, ci offrono un punto di vista diverso da cui leggerle. Accrescono a vicenda il significato delle loro rispettive singolarità.
Le rime visive che Theophilus crea invitano a riflettere sul rapporto tra le due parti: l’Africa e l’Europa. Lo fanno cercando di costruire ponti, soffermandosi sulle somiglianze piuttosto che sulle differenze. La diversità viene comunque rispettata, senza andare verso l’appiattimento, l’omologazione generale.
Riferendosi all’indice dei nomi del libro di Alexandra Moore e Samantha Pinto “Writing Beyond the States” l’artista stesso utilizza la metafora del ponte affermando come il suo trovarsi – per ragioni puramente alfabetiche – tra Malcom X e Mare Nostrum, sottolinei il suo fare da «collegamento tra le voci dell’Atlantico Nero e la presenza del Mediterraneo Nero».