Elisabetta Sirani
“Piangano le Parche, che troncandoti lo stame di questa fragile umanità, ti filarono una vita immortale”.
Scriveva così Cesare Malvasia, riportando un passo dell’orazione funebre, nella sua Felsina Pittrice, riferimento per chi vuol conoscere Elisabetta Sirani.
Questo excursus non è casuale in quanto, parafrasando il detto che dice “muore giovane chi è caro agli dei”, Elisabetta passò a miglior vita a soli 26 anni, quando era all’apice della carriera.
È l’agosto del 1665 e Bologna tutta la piange.
Ha iniziato a lavorare senza tregua da quando aveva 17 anni e, all’epoca della sua scomparsa, è già da quattro anni “professoressa” alla prestigiosa Accademia di San Luca. Ha rilevato la bottega paterna, tanto che è lei a mantenere la famiglia e ha avviato una scuola decisamente unica nel suo genere: insegna alle giovani donne i segreti del mestiere di pittore.
Le sue allieve, tra cui anche le due sorelle minori, riuscirono ad affermarsi nella vivace realtà artistica bolognese, come Veronica Fontana e Ginevra Cantofoli.
Ma perché la Sirani è così quotata nella Bologna del Seicento?
Elisabetta Sirani

Certo, il suo stile segue quello del maestro indiscusso Guido Reni e attraverso questi s’abbevera alla fonte di Raffaello. Forse, quello che più incuriosisce è quella “sprezzatura”, quella dote che fa sembrare facile disegnare le composizioni più ardite.
Con pochi tratti ecco apparire il bozzetto, lumeggiato poi con tocchi d’acquarello.
Chi non credeva che una donna potesse essere tanto abile poteva verificare con i propri occhi andando alla bottega, dove Elisabetta spesso si esibiva in questi suoi disegni, che ci rimangono in gran numero.
Il catalogo è davvero ampio: consta di ben 200 dipinti e 15 acqueforti, oltre a disegni e guazzi.
Molti si sono chiesti se questo numero esorbitante fosse tutto di sua mano: pensate che il Guercino portò a termine 5 tele nel 1634 mentre Elisabetta, nello stesso anno, ben 32.
Numeri che diventano indizi probanti della sua popolarità.
Lei stessa, da attenta imprenditrice, ha lasciato una lista precisa delle sue opere. E ha firmato le sue tele, con grazia e acume, nel suo ruolo di donna.
Il nome lo si legge dipinto come fosse un ricamo su un cuscino, inciso su un bottone o sul nastro d’una manica.
Le Signore dell’Arte

1658, olio su tela, Museo Pushkin, Mosca.
Vezzi femminili per una donna che vive svolgendo una professione “da uomo”, tra uomini.
La sua intensa femminilità si esprime soprattutto nella scelta dei soggetti.
Non solo tenere Madonne con bambino, ma protagoniste della storia antica e dei testi sacri, preferendo spesso personaggi meno noti e iconografie insolite per popolare il suo universo pittorico.
Ecco allora sfilare i ritratti di” Porzia che si ferisce ad una coscia” e “Cleopatra”, la “Maga Circe” che fa l’occhiolino a “Giuditta con la testa di Oloferne”, dimostrando un’ampiezza culturale che spazia dai testi religiosi a quelli storici fino alla letteratura antica.
Dopo il tempo dell’oblio però, negli ultimi decenni il suo lavoro sta avendo il successo che merita. Articoli scientifici, esposizioni e saggi ci offrono la possibilità di conoscere meglio lei e le sue eroine.
Un giusto seppur tardivo riconoscimento.
2 commenti
Ottima la scelta di una artista donna! Non la conoscevo. Brava.
Ti consiglio di visitare la mostra a Palazzo Reale “Le Signore dell’Arte” 🙂