Dopo l’evento creativo, tenutosi in occasione del Milano Pride 2022, la parola passa agli artisti protagonisti
Un live painting tenutosi nella Pride Square di Piazzale Lavater, tre opere donate sul palco del Pride ad altrettanti attivisti stranieri della comunità LGBTQIA+: questo il primo progetto del neonato gruppo “artists for PRIDE”. E’ stato il desiderio di legare le arti visive al supporto dei diritti arcobaleno che ha spinto Federica Sutti, Fabio Orioli ed Elena Zecchin ad utilizzare le loro capacità artistiche per creare qualcosa di assolutamente nuovo nel calendario del Pride Month milanese.
Ma le attività di certo non sono terminate con il finire del mese di Giugno: l’account instagram del gruppo è molto attivo e nei prossimi mesi non mancheranno le sorprese.
Cominciamo quindi a conoscere sulle pagine di ANM News ciascuno dei tre artisti sopra menzionati, partendo dalla capofila del gruppo: Federica Sutti, in arte Fè.
Da sempre affascinata dal mondo contemporaneo, le sue opere aiutano lo spettatore a riflettere sui problemi del quotidiano, sui sogni e sui desideri comuni.
Designer ed artista visuale: chi è Federica Sutti e quando ha deciso di fare della creatività il suo mestiere?
Fin da piccola ho sempre avuto una mente predisposta all’immaginazione e un’attitudine creativa. È stato seguendo quest’attitudine che mi sono ritrovata alla facoltà di Disegno Industriale al Politecnico e successivamente negli studi di design, vere palestre per allenare la creatività. Penso, infatti, che la creatività sia più un muscolo che una dote innata, il cui allenamento crea dipendenza. Così come uno sportivo ha bisogno di esercizio per stare bene, il creativo ha il continuo bisogno di sfidarsi e di esprimersi. Questa urgenza espressiva mi ha portato, negli anni, ad affiancare l’attività di artista a quella di designer. Attualmente sono rappresentata dalla Galleria Piscane (Milano) e dalla Galleria Legart (Novara).
Quali tecniche utilizzi per creare le tue opere?
Il mio approccio alle tecniche deriva dalla formazione in design: non ne sposo una a priori bensì parto dapprima da un concetto e mi concedo il privilegio di valutare di volta in volta la tecnica più adatta. Parlo di privilegio perché per me è liberatorio e rinfrescante sperimentare nuovi strumenti e tecniche. Ho lavorato con: colate di argilla, cemento e resina in stampi, pittura acrilica e spray, stampa 3d, cianografia, intarsi di legno dipinto, tecniche di tappezzeria, illustrazione digitale, modellazione e animazione 3d. Se qualcuno ha qualche altra tecnica da consigliarmi, sarò ben felice di approfondirla.
Ce ne descrivi una significativa per comprendere la tua poetica?
Forse l’opera più rappresentativa ed iconica è “Myselfie – Homo Monitor”.
L’Homo Monitor è l’evoluzione dell’Homo Sapiens e nasce dalla riflessione sull’impatto degli smartphone nel nostro quotidiano. Presenta un volto-monitor, si ciba di dati che consuma in modo bulimico e comunica in linguaggio binario. Venera la divinità della Connessione, madre di tutti gli input e non è infrequente che lo si trovi scambiarsi abbracci “fondi-monitor” con altri individui. Abbracci che non hanno nulla a che fare con l’amore, perché si tratta di puro scambio di dati. Nel mondo dell’Homo Monitor la sessualità si è estinta a favore di una “gemmazione copia-incolla”: gli individui sono infatti troppo invaghiti di se stessi – da qui il nome comune di “Myselfie”. Tutte le mie opere sono frutto di uno sguardo allo stesso tempo affascinato e inquieto sul mondo contemporaneo, nella sua complessità, contraddizioni ed entropia. Mi piace dire che mastico il contemporaneo e lo digerisco attraverso opere-metaforiche concettual-pop.
Quali sono i tuoi prossimi progetti artistici? Dove potremmo trovare le opere di Fèartndesign?
Uno dei prossimi temi che affronterò sarà legato alla spiritualità e al bisogno innato di trascendenza. Non mi voglio sbottonare troppo, ma si tratta di un progetto ambizioso, di dimensioni che non ho mai affrontato, interattivo e accessibile a tutti. Tutto chiarissimo nella mia testa, ma richiederà molto tempo, lavoro… e probabilmente qualche sponsor. In parallelo ho un progetto a tema ambientale nel “pensatoio” da anni che darà origine ad una collezione di NFT su Foundation. Spero di dare luce a questi progetti entro il 2023. In chiusura, non so ancora quando, ma spero di poterti invitare ad una mia personale molto presto.
Passiamo ad Artists for Pride: perché hai deciso di partecipare?
Dalla nostra prima chiacchierata in cui ci siamo accorte di questo “vuoto” e della mancanza di ponti tra mondo artistico e associazioni LGBTQ+ posso dire che è stato molto elettrizzante plasmarne il manifesto, l’identità e vederlo crescere. Da artista appartenente alla comunità non potevo assolutamente tirarmi indietro: credo che arte e attivismo possano collaborare a stretto contatto proficuamente in un “artivismo” vivace. Visto il pericolo a livello politico e civile di virate retrograde credo che gli strumenti della comunicazione vadano usati tutti per difendere i nostri diritti e lottare per quelli che ci mancano. L’arte agisce su un livello non verbale ed empatico e mai come di questi tempi c’è bisogno di empatia.
Quando e come è avvenuto il tuo coming out artistico?
Il mio coming out artistico è avvenuto nel 2016 con “Banana Tiama”, un progetto che celebrava la diversità come valore e dedicato alla città di Milano. Città dove sono arrivata a 19 anni con molta curiosità inesplorata nei confronti del mondo gay e che mi ha fatto subito sentire a casa. Sostanzialmente “Banana Tiama” era una nuova qualità di banana, una banana “urbana” coltivata a Milano. Una qualità caratterizzata da livree variegate ed imprevedibili, molto diverse dai canoni standardizzati della grande distribuzione. Il progetto “Banana Tiama” è una metafora della società ideale in cui tutti nella loro diversità si possano sentire accolti e celebrati.
Quali saranno i tuoi futuri progetti in ambito LGBTQIA+?
L’ultimo mio progetto in questo ambito è “stereotA.I.pes”, una ricerca in progress pubblicata sull’omonimo profilo instagram.
La parola “stereotipi” in inglese si fonde con la sigla A.I. che sta per intelligenza artificiale. Il mio obiettivo è quello di testare il “pregiudizio” delle intelligenze artificiali sulle minoranze. Ti chiederai se sia possibile che una “macchina” risenta di un pregiudizio e la risposta è assolutamente sì: queste “macchine” si basano su banche dati di immagini inserite e “catalogate” manualmente e reperite su internet. Sebbene siano immense, non possono definirsi rappresentative della realtà: quei problemi di visibilità di certe minoranze, come quella LGBTQ+, qui vengono estremizzati, così come i cliché legati alla figura femminile. È molto interessante esplorare questa ricerca perché dice tanto sul pregiudizio insito nella nostra società.
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